Dai principi costituzionali di uguaglianza sostanziale e di libertà, la lettura dei beni comuni come meritevoli di una cura partecipata e concreta.
di Annamaria Del Chicca
La storia ci racconta che esiste uno stretto legame fra femminismo e commons.
Basta fare un passo indietro nel tempo per accorgerci che, come ci descrive Silvia Federici, nel testo “ Il femminismo e la politica dei beni comuni” le donne si sono da sempre rese protagoniste di pratiche atte a favorire forme di vita collettive condivise, si pensi alle lotte contro l’appropriazione delle terre comuni in Inghilterra e negli Stati Uniti, o alla messa in atto di una vera e propria agricoltura di sussistenza per contrastare la mercificazione delle risorse naturali che banche, multinazionali tentano di imporre.
Ma le donne, nel corso degli anni, non sono state solo portatrici di cura e condivisone di beni prettamente “ naturali”, ma si sono rese costruttrici di uno spazio relazionale che è diventato una comunità solidale : i centri donna e le case delle donne.
Scrive Evelina De Magistris ( http://www.evelinademagistris.org/evento/un-centro-donna-e-un-centro-donna-e-un-centro-donna/) che nell’anno 1984 il Centro Donna di Livorno nacque come “un luogo di crescita culturale, politica e sociale; un luogo in cui si parla di libertà e di autodeterminazione, in cui si mettono a confronto idee, progetti, modi di stare al mondo che possano far crescere l’indipendenza simbolica femminile, il senso di sé, il senso del proprio valore.”
Un luogo quindi in cui si promuove la cultura delle relazioni, dell’accoglienza, della cura, della libertà.
Continua Evelina De Magistris “Pensieri liberi, però, hanno bisogno di uno spazio libero. Uno spazio che possa essere condiviso e agito anche dalle donne più giovani, che spesso si districano tra desiderio di esserci, desiderio di mondo, pratiche inedite di relazione e di costruzione di socialità̀, che si esprime anche nell’abitare/frequentare i luoghi comuni con modalità̀ proprie, e precarietà̀ e compressione delle possibilità̀ del vivere”
Includere il centro donna all’interno del genus dei beni comuni, significa tutelarlo e preservarlo anche avendo riguardo alle generazioni future e mettere in atto forme inclusive di relazione e di appartenenza.
Ma vi è di più. Poiché un bene non è comune tanto per una sua qualità naturale, ma piuttosto in relazione al fine che consente di perseguire, non vi sono dubbi che il centro donna, quale spazio relazionale volto alla promozione della libertà, dell’inclusione sociale e che fa della differenza un valore assoluto da tutelare, possa essere inquadrato in questa vasta area.
Mettere in relazione la politica femminista e i beni comuni significa costruire una pratica politica che valorizza le relazioni, la cura, le soggettività, l’attenzione per il vivente, ma anche prendere atto e consapevolezza della situazione attuale in cui ci troviamo. Nello specifico contesto italiano, le attuali politiche economiche di privatizzazione di beni ed imprese, unite al progressivo smantellamento dello stato sociale hanno generato una crescente preoccupazione per la società̀ in merito alla concreta possibilità̀ di accedere ai beni essenziali.
Inoltre la cattiva gestione da parte dello Stato e degli enti pubblici in merito alla cura degli interessi della comunità̀ , ha fatto sorgere da parte della collettività ,una più̀ incisiva volontà̀ di gestire direttamente, in base al principio di sussidiarietà̀ orizzontale previsto dall’art 118 della nostra Costituzione, quei beni primari che sono connessi con l’esercizio dei diritti fondamentali.
Da ciò̀ si desume quindi il ridimensionamento della classica dicotomia pubblico/privato, il superamento delle tradizionali tecniche di rappresentanza, ma la sempre maggiore volontà̀ ed aspirazione a forme collettive di democrazia diretta e partecipata.
In questo quadro, si vuole con forza riaffermare la centralità della persona umana, vista come soggetto titolare di un nucleo di diritti inviolabili e garantiti dalla Carta Costituzionale e porre l’accento sulla questione del legame sociale quale elemento identificativo di una società che riscopre il potenziale dello “sviluppo umano ” e che scalzi le logiche del mercato e della mera mercificazione dei beni.
Sotto questo aspetto la politica dei commons e il movimento femminista hanno dei punti di intersezione tra di loro; il bene comune così come il movimento femminista riguarda la dimensione dell’abitare lo spazio e il tempo, l’essere in relazione, il fare esperienza del quotidiano, cercando così di costruire una comunità plurale molteplice e relazionale.
Isabella Pinto su Iaph Italia (15.01.2021) scrive “ Le istituzioni neoliberiste (pubbliche e private) colonizzano da anni il discorso della partecipazione, dei commons, e della cura per rifunzionalizzarlo in direzione di un soggetto unico e neutro, spogliato della decisione politica, adeguato alla violenta economia speculativa. In questa chiave, la distruzione dei commons assomiglia fin troppo alle ecologie mortifere dell’Antropocene, a differenza delle pratiche di commoning, che parlano invece di una “sostenibilità” per cui i corpi che contano non sono solo quelli decisi dal profitto, dal capitalocene o dall’organizzazione mortifera del plantagionocene, ma quelli che permettono, grazie alle reciproche pratiche di cura radicali, rinascite multispecie.”
Sulla base di questo pensiero scrive Evelina De Magistris nel documento “ Un Centro donna è un Centro donna è un Centro donna del gennaio 2021 ( http://www.evelinademagistris.org/evento/un-centro-donna-e-un-centro-donna-e-un-centro-donna/)“ la gestione del Centro Donna può trasformarsi, nell’ottica appunto, dei beni comuni, in un Patto di collaborazione tra l’Amministrazione comunale e i soggetti del territorio – associazioni, gruppi informali e gruppi di cittadine – orientato alla promozione della solidarietà, del benessere, dell’autodeterminazione e della valorizzazione della storia e della cultura delle donne.
Un luogo di confronto, di scambio dei sapere e delle conoscenze, ma anche un luogo in cui, a carattere volontario, si crei un orientamento ai servizi per tutte le donne che possono trovarsi in difficoltà, anche attraverso una mappatura delle opportunità e delle risorse presenti sul territorio”
Esistono già , del resto, nel nostro territorio esperienze positive di amministrazione condivisa e patti di collaborazione, si pensi a quello stipulato fra il Comune di Ravenna e l’associazione Liberedonne volto alla gestione condivisa delle attività promosse nell’ambito della Casa delle donne di Ravenna. ( https://casadelledonneravenna.files.wordpress.com/2015/08/patto-di-collaborazione-per-la-gestione-e-la-realizzazione-della-casa-delle-donne.pdf)
Sul punto la casa delle donne di Roma scrive «La strada del riconoscimento del nostro valore è stata aperta e noi ci batteremo perché si arrivi fino in fondo, affermando la possibilità di avere in gestione il patrimonio pubblico in comodato d’uso gratuito, aiutando le associazioni e i luoghi delle donne a superare l’emergenza provocata dal Covid19 e riconoscendo il valore di bene comune dei luoghi delle donne femministi».
Anche il Comune di Livorno si è dato un “Regolamento per l‘amministrazione condivisa dei beni comuni urbani” approvato all’unanimità dei presenti in Consiglio Comunale con deliberazione n. 224 del 19 ottobre 2017 poi modificato e integrato con delibera di CC n. 61 del 4-4-2019 ( https://www.comune.livorno.it/sites/default/files/index/beni_comuni/regolamento_per_lamministrazione_condivisa_dei_beni_comuni_urbani.pdf) e prevede la possibilità di patti di collaborazione , per ora riguardanti attività specifiche ( vd patti di collaborazione approvati https://www.comune.livorno.it/beni-comuni-cisternino-citta/beni-comuni/patti-collaborazione-approvati)
Oggi più che mai si rende necessario costruire una nuova strategia che valorizzi il lavoro sapiente svolto dalle donne che crea un circolo virtuoso di ricchezza, benessere e sicurezza per tutte e tutti noi, sulla base del principio secondo il quale il patrimonio pubblico se messo in buone mani è una leva fondamentale per rendere le nostre città più belle, più vive e più civili.