Editoriale scientifica di Napoli pubblica, a cura di Stefania Scarponi, docente di Diritto del Lavoro all’ Università di Trento, la rielaborazione delle relazioni del convegno su “ Diritto e genere nell’evoluzione normativa tra diritto nazionale e transnazionale” che si è tenuto a Trento , presso la facoltà di Giurisprudenza, il 30.5.2019.
Il convegno si proponeva di confrontare la normativa vigente, italiana ed europea, con le politiche e i processi culturali in corso che riguardano ruoli, asimmetrie di potere, assetti culturali, primo tra tutti il linguaggio, nei rapporti donne – uomini.
Le relatrici affrontano, con saggi diversi per impostazione e scrittura, gli ambiti in cui si gioca il rapporto tra uguaglianza e differenza di donne e uomini in campo legislativo nei settori di lavoro, famiglia, cittadinanza, politiche pubbliche, violenza, linguaggio, con un comune sguardo di superamento della deriva/ tentazione sempre presente del neutro maschile.
Anna Simonati, docente di diritto amministrativo all’Università di Trento , ricostruisce il percorso normativo relativo alla cittadinanza delle donne, dalla “ protonormativa” di tutela di inizi ‘900 all’attuazione dei principi costituzionali, alla modifica nel 2003 dell’art.51 della Costituzione (Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge) e dell’art.117 co. 7, che apre la legislazione regionale a interventi volti a perseguire la parità , al codice per le pari opportunità del decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198, alle diverse leggi in materia di quote di presenza femminile in diversi organismi pubblici e societari.
L’autrice riconosce che gli interventi sono eterogenei e frammentari, volti al graduale superamento delle situazioni di disparità e propone di valorizzare il concetto di “cittadinanza di genere” inteso come <<l’insieme di strumenti che può consentire – o quanto meno agevolare – la partecipazione di tutti,indipendentemente ( ma non a prescindere ) dal genere alla vita pubblica, ovvero nei settori in cui è più forte e immediata la rilevanza dell’interesse della collettività” >>.
Simonati auspica un <<circolo virtuoso di consapevolezza nell’interpretazione e nell’applicazione del quadro normativo vigente>> , in un rapporto tra i diversi saperi, leggi , prassi di enti pubblici,giurisprudenza e dottrina.
Donata Gottardi , docente di Diritto del lavoro all’Università di Verona ,esamina i documenti europei, che dal Trattato di Lisbona hanno efficacia vincolante in Italia, e rileva che , a fronte di un decalogo di obiettivi invariati, si sono negli anni individuati strumenti di intervento differenti, col superamento, ad esempio, della cd. Flexsecurity, flessibilità nella sicurezza, che si è rivelata inadeguata anche a causa della crisi economica.
Gottardi esamina le normative in materia di differenziali retributivi, maternità, congedi parentali, conciliazione tra vita professionale, familiare e privata, con costante confronto tra normative europee e nazionali, con i tristi dati del posizionamento italiano nella fascia bassa degli indici sull’uguaglianza di genere a livello europeo , e afferma che per superare lo scollamento tra normativa e situazione reale è necessario un cambiamento culturale significativo e che per ottenere maggiore efficacia delle azioni occorre maggiore partecipazione delle parti sociali e osservatori per verificare le azioni stessa.
La relazione di Stefania Scarponi ci accompagna in un viaggio, appassionante per le giuriste e non solo, nelle pronunce dei giudici in tema di discriminazioni nel mondo del lavoro.
L’autrice sceglie un approccio intersezionale, che aggiunge alla discriminazione di genere quella religiosa e di orientamento sessuale, per rileggere le sentenze di merito , della Cassazione e della Corte di Giustizia Europea in vari settori. Attualissima la questione in materia di discriminazione di lavoratrice che fa ricorso alla procreazione medicalmente assistita, con indagine sull’effettiva dinamica dei fatti e interpretazioni estensive e congiunte delle norme a tutela della maternità e di contrasto alle discriminazioni per proteggere la salute della donna e evitarle di dover scegliere tra lavoro e maternità.
Vengono anche analizzate le pronunce in materia di simboli religiosi nel luogo di lavoro, con contemperamento del principio costituzionale della libertà d’impresa con quello della libertà religiosa e in materia di discriminazione di soggetti omosessuali nei rapporti di lavoro con organizzazioni di tendenza.
Di particolare interesse l’analisi del contrasto alle molestie nel luogo di lavoro, con strumenti più efficaci a livello giudiziario , come i dati statistici e l’utilizzo del diritto antidiscriminatorio in stretto collegamento con la normativa tradizionale di garanzia del diritto alla salute.
Il diritto di famiglia è oggetto delle relazioni di Erminia Camassa, docente di Diritto Ecclesiastico e Teresa Pasquino, docente di Diritto privato, entrambe all’Università di Trento .
Anche in questo caso l’intersezionalità dei saperi si ripresenta, nell’analisi di Camassa sul matrimonio e la famiglia, in un’era di multiculturalismo e matrimoni misti, tra diritto alle differenze, anche religiose, e diritti fondamentali. L’intersezione tra genere e religione nel diritto di famiglia si dipana nell’analisi della disciplina del diritto di famiglia ebraico, islamico , con le recenti aperture del Marocco, con costante attenzione allo sguardo e alle parole delle femministe delle diverse religioni.
Pasquino affronta invece il tema delle unioni civili e del diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali, con la problematica attinente al divieto di ordine pubblico di maternità surrogata nel caso di coppie di uomini. Tema incandescente, allo stato disciplinato dalla sentenza 12193 della Cassazione a Sezioni Unite dell’ 8 maggio 2019 che, in controtendenza con l’orientamento delle corti europee e di alcuni tribunali italiani, attribuisce la maternità a chi partorisce e affida all’istituto dell’adozione la realizzazione della genitorialità disgiunta dal legame biologico.
Milli Virgilio, avvocata bolognese, Presidente di GIUdIT – Giuriste d’ Italia , ci accompagna invece nella complessa tematica dei rapporti tra femminismo e diritto penale, sui mezzi e strumenti con cui reagire alla violenza maschile contro le donne.
Virgilio parte dal criterio delle 3 P, prevenzione, protezione e punizione della Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata dall’ Italia con la L. 77 /2013 per analizzare criticamente il progressivo aumento della nostra legislazione penale negli ultimi anni.
Rileva che la prevenzione fu oggetto di intervento fino agli anni ’80, con una serie di leggi volte a svecchiare gli istituti più evidentemente patriarcali dei nostri codici , risalenti al 1930 il penale, al 1942 il civile.
Critica i provvedimenti delle ultime due legislature, che abbinano la violenza sessuale alla sicurezza pubblica , giudicandoli frammentati, spezzettati, purtroppo inefficaci per contrastare un fenomeno di carattere strutturale.
Di altro segno valuta le normative che negli anni 2000 hanno ampliato, anche in sede civile, strumenti di intervento come gli ordini di allontanamento, il divieto di avvicinamento del violento,e alcune disposizioni regionali in materia di formazione, riprese a livello nazionale dal Cd. Codice rosso, senza, ahimè, stanziamento di risorse.
Critica l’ uso di un linguaggio neutro nel linguaggio del legislatore, tranne che per le mutilazioni genitali femminili e l’ interruzione di gravidanza, con una sorta di specialità della normativa di tutela che rischia di rinchiudere le parti lese in uno statuto di vittima e soggetto fragile.
Critica infine l’ inasprimento sanzionatorio, esito del populismo penale punitivo che si accompagna a misure come l’ampliamento dei casi di procedibilità d’ufficio o lo svincolarsi dalla richiesta di parte per gli interventi di allontanamento, divieto di avvicinamento e richiamo questorile.
Ma la critica più dura è verso le vetuste logiche patriarcali e gli stereotipi sessisti che ancora inquinano l’attività di alcuni operatori, della giustizia e della comunicazione.
Individua l’obiettivo statale nel perseguire i colpevoli e fare emergere il fenomeno, più che nel promuovere l’espressione della libertà femminile, per la quale è ogni singola donna, nella sua autonomia, in relazione con le altre , a decidere se, quando e come agire di fronte alla violenza di soggetti a cui è spesso legata da relazioni complesse.
Condivido al 100%, le conclusioni di Milli Virgilio, secondo cui la violenza maschile contro le donne è un fenomeno strutturale, e il contrasto può avvenire con adeguate azioni di sistema idonee a superare la logica patriarcale e a porre gli operatori e le operatrici in grado di accompagnare chi è sopravvissuta alla violenza , nel rispetto e potenziamento della sua autonomia.
Giovanna Covi, professoressa associata di Letteratura anglosassone e docente di Studi di genere presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento presenta l’esperienza dell’Ateneo trentino e del suo territorio in materia di linguaggio rispettoso delle differenze.
Le Linee guida per un uso del linguaggio rispettoso delle differenze sono state approvate dal senato Accademico l’8 marzo 2017, dopo un lungo e lento lavoro delle e dei docenti del Centro Studi interdisciplinare di genere con il Comitato Unico di Garanzia.
Covi parte dal principio che le scelte lessicali non si possono imporre d’autorità, perché la lingua la fa chi la parla e l’uso del linguaggio tradizionale o sessuato è sintomatico di conformismo o consapevole dissenso.
In una relazione brillante, ricca di riferimenti all’attualità e a casi pratici ( da Irma Tataranni della serie televisiva al paradosso del linguaggio neutro maschile per cui si parla di ministri che partoriscono ) Giovanna Covi evidenzia il ruolo creativo di realtà della lingua, citando la linguista Robin Lakoff che nel 1991 affermava << la lingua è sempre politica”>>.
Ricostruisce poi gli interventi sul territorio, in una regione capace di particolare attenzione alle minoranze linguistiche e quindi aperta ai diversi linguaggi.
Diversi gli accenti e gli sguardi delle relatrici, diversi gli approcci, le competenze, ma alcuni punti comuni emergono con chiarezza dai testi:
- le differenze sono intersezionali sesso, genere, religione
- i saperi sono interdisciplinari e in relazione
- lo sguardo ravvicinato della cura a ogni singola fattispecie è requisito di ogni valido intervento
- il neutro maschile offusca la ricchezza delle differenze.
Comune è anche la consapevolezza che le donne ci sono, i loro saperi , frutto di studio,esperienza , scambio sono in relazione e impegnati a migliorare , a partire dalla normativa, ma senza fermarsi ad essa, la vita di ciascuna e ciascuno in famiglia, nel luogo di lavoro, nella vita pubblica.
Avv. Maria Pia Lessi