“Avanti il divorzio” di Anna Franchi presentazione all’Archivio Storico di Firenze
Anna Franchi, e’ nata a Livorno, li’ ha voluto rimanere dopo la morte al Cimitero Comunale dei Lupi ed e’ una delle 17 donne a cui e’ intitolata una strada nella mia citta’ insieme a due livornesi politiche contemporanee, Edda Fagni e Pamela Ognissanti, a Angelica Palli, del risorgimento e ad altre personagge famose non concittadine (Anita Garibaldi, Francesca Marvillo. Maria Montessori, Anna Frank).
Accanto a questo riconoscimento ” topomastico” e quindi simbolico, l’attenzione di Livorno verso Anna Franchi si concretizza nella raccolta delle sue opere ( 40 volumi e centinaia di scritti) alla Biblioteca Labronica e proprio negli ultimi anni, nella ricerca effettuata all’Istituto Tecnico Industriale sulla sua figura, con l’intitolazione di un’aula.
Anna Franchi e’ stata legata alla sua citta’ in modo forte e appassionato, un po’ com’e’ nel carattere delle livornesi, cosi’ ben tratteggiato da un altro amatissimo autore concittadino, Giorgio Caproni.
Ha nei confronti di Livorno espressioni affettuose e significative nel suo libro autobiografico
” Livorno non è mai stata la città chiusa di provincia, forse perché ha ospitato molti stranieri, forse perché ampia, così tutta distesa sulla riva e senza troppi nuclei ristretti di
abitazioni legate, sovrapposte. E’ una città moderna, dove si respira, creata nella fede di un grande avvenire…”
Ed
” ancora, per quanto vecchia, mi piace rivedere la mia Livorno… E con gioia rivedo amici e parenti e mi sembra che tutto sia sogno, e che una vita nuova mi ridonerà qualche giorno di pace … Vado per le vie più belle di prima… Mi dimentico davanti al mio mare …”
e in Avanti il divorzio : ” Aveva bisogno di aria, di luce, di sole; era salita sulla collina di Montenero. Dall’alto del monte, sacro alla Vergine miracolosa, si vede tutta l’ampia marina che bagna quelle rive incantevoli su cui giace la graziosa citta’. Era una giornata limpida che l’occhio giungeva libero fino alla Gorgona, all’isola del Giglio. Che purezza! Che chiarita’ luminosa!
Nel bel biglietto con cui mi ha trasmesso il libro ” Avanti il divorzio” di Anna Franchi, la Prof.ssa Elisabetta De Troja scrive ” vita lavoro e tribunali non l’hanno piegata” e da questa affermazione prende spunto la riflessione, che condivido con voi, sul rapporto tra donne-tribunali-giustizia a partire dal testo ” Avanti il divorzio” di Anna Franchi.
Un testo, preme ricordarlo, scandaloso nel 1902, quando fu pubblicato, al punto di essere legato con un nastrino bianco sull’infuocata copertina rossa, proprio a monito del rischio di ” scottarsi” col materiale incandescente che conteneva: una donna che sceglie la sua liberta’ ed esce da un matrimonio che non risponde ai suoi desideri.
” Non e’ stata piegata dai tribunali” scrive Elisabetta De Troja e mi ha riportato alla mente ” non credere di avere dei diritti” di Simone Weil (Quaderni II pag. 41)
Da questa affermazione sconvolgente della filosofa Simone Weil (il brano prosegue spiegando ” cioe’, non offuscare o deformare la giustizia, ma non credere che si possa legittimamente aspettare che le cose avvengano in maniera conforme alla giustizia) prende il titolo un testo importante nel pensiero femminista italiano, pubblicato nel 1986 dalla Libreria delle Donne di Milano.
In questo periodo ( e la scelta appare profetica perche’ negli anni ‘80 c’era ancora una normativa di garanzia per i diritti assai piu’ solida di quella attuale, a partire dai contratti atipici e i licenziamenti…) viene individuato nel processo lo strumento per mettere in pratica la giustizia.
” Il processo puo’ essere condotto dall’avvocata presentando in modo concreto e fuori da schemi ideologici, i bisogni espressi dalla cliente.
L’avvocata si rende mediatrice tra l’istituzione giudiziaria e la donna, rendendo conoscibile la misura del bisogno che questa ultima esprime”.
Devo dire che questa pratica del processo come strumento di giustizia o di ingiustizia emerge con chiarezza lampante nei due processi narrati in “Avanti il divorzio” , il giudizio di separazione e quello di adulterio.
Penso sia necessaria una brevissima contestualizzazione per meglio comprendere in quale quadro Anna Mirello affronta le sue vicende giudiziarie.
Nel 1902 vigeva il codice civile 1865, dello Stato Unitario, piu’ arretrato rispetto ad altri codici pre unitari, piu’ vicini al Codice Napoleone Francese, un codice che sarebbe rimasto vigente fino al codice civile 1942, che manteneva la figura del marito capofamiglia, e che solo la riforma del 1975 avrebbe scalfito affermando la parita’ dei coniugi nella famiglia.
Per tale codice la separazione era prevista agli artt. 149 e segg:
“149. .Il diritto di chiedere la separazione spetta ai coniugi nei soli casi determinati dalla legge.
150. La separazione può essere domandata per causa di adulterio o di volontario abbandono, e per causa di eccessi, sevizie, minacce e ingiurie gravi. Non è ammessa l’’azione di separazione per l’’adulterio del marito, se non quando egli mantenga la concubina in casa o notoriamente in altro luogo, oppure concorrano circostanze tali che il fatto costituisca una ingiuria grave alla moglie.
151. La separazione si può eziandio domandare contro il coniuge che sia stato condannato ad una pena criminale, tranne il caso che la sentenza sia anteriore al matrimonio e l’altro coniuge ne fosse consapevole.
152. La moglie può chiedere la separazione quando il marito, senza alcun giusto motivo, non fissi una residenza, od avendone i mezzi, ricusi di fissarla in modo conveniente alla sua condizione
Questo codice NON prevedeva il divorzio, e cioe’ lo scioglimento del matrimonio, che sarebbe stato inserito nell’ordinamento italiano solo nel 1970 e sottoposto nel 1974 a un referendum abrogativo a cui il 60% della popolazione si oppose.
L’adulterio femminile (anche un solo atto di relazione extra coniugale) costituiva, come si e’ visto, motivo di separazione (per la separazione dal marito era invece necessario che lo stesso convivesse con la nuova compagna).
Nel diritto penale ( codice Zanardelli e successivo codice Rocco) era reato ” l’unione carnale anche occasionale della moglie con un estraneo alla coppia mentre il marito era penalmente perseguibile solo in caso di concubinato”.
Solo con sentenze del 1968 e 1969 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalita’ di questi reati.
Anna Mirello, la protagonista del romanzo di Anna Franchi, che in larga parte ripercorre la vicenda matrimoniale dell’autrice, affronta nel romanzo 2 processi, entrambi promossi dal marito, violento e adultero, a fronte della relazione della moglie con Giorgio, a matrimonio ampiamente finito.
Nel primo processo nel 1894, a seguito della querela del marito per adulterio, Anna si affida al ” vecchio adiposo avvocato Telemaco Martinelli, adultero, che sopportava l’adulterio per non essere deriso” ed ecco alcune parole dell’incontro tra la donna e il legale:
” Il marito aveva sporto querela al tribunale, per l’adulterio della moglie.
Aveva avuto uno scatto di fierezza, Anna.
Ebbene? Avrebbe detto la verita’…. Avrebbe detto per quali penose vie era giunta a riposo dell’amore.
A che scopo?- Le disse, il vecchio adiposo avvocato Telemaco Martinelli, adultero, che
che sopportava l’adulterio per non essere deriso…. a che scopo?
Per essere giudicata, per essere difesa….per dire….
Nulla serve. Il fatto esiste.
Ma ho sofferto tanto.
Che importa? Il fatto e’.
Ma sono stata offesa, maltrattata, accusata innocente, mi si e’ contaminato il sangue, mi si e’ rovinata la gioventu’, ho avuto il fango fino alla gola….
Che importa? Il fatto esiste.
Ma se non l’amavo piu’; ma se mi faceva ribrezzo; ma se mi sentivo passare nel sangue il delitto.
Ma!….
Ma se l’avessi ucciso?….
Sul fatto…. forse sarebbe stata assolta.
O non e’ peggio? Non e’ piu’ onesto, piu’ umano, che io mi sia liberata, invece di prostituirmi e due uomini; se come ha fatto lui….
Bisognava scoprirlo sotto il tetto coniugale… allora avrebbe avuto ragione di dargli querela.
Ma e’ una vilta’.
Adesso vi e’ caduta lei.
Ma mi difenda.
Invano.Il fatto esiste.
Mi liberi.
Certo. La separazione di corpo; e con un sorriso indefinibile, sara’ libera…. o quasi. Pero’ l’avverto che il marito ha sempre il diritto di darle querela per adulterio.”
Secondo questo consiglio Anna si separa.
Sentiamo insieme come: ” … lo comprese quando comparve davanti al presidente del tribunale per firmare la sua separazione di corpo. Aveva tremato soltanto all’idea di doversi trovare accanto a lui, tremato non di paura, ma di vergogna… avevano interrogato il marito prima, poi lei. Il Presidente, un uomo dall’aspetto accigliato, per posa, per mestiere, la scruto’ come per frugarle l’anima…. o per esaminare il suo viso… una donna colpevole deve essere carina certo…come altrimenti?,… poi la interrogo’ con fredda cortesia: indi cerco’ fiaccamente di dissuaderla dal proposito della separazione… e:
Cosi’, e’ veramente decisa?
Assolutamente.
I suoi figli?
Due sono in collegio…uno con mia madre a Lucca.
Ed ella abita a Firenze?
Chi mantiene i figli?
Sono sempre stati mantenuti ed educati da mia madre…. adesso alla spesa del collegio supplisco io. Queste sono le ricevute.
Va bene… e questa separazione e’ fatta per colpa sua?
Cosi’ si deve dire….
E quale sarebbe questa colpa?
Anna rimase un momento perplessa…. incerta. Doveva avere anche la vergogna di narrare i fatti?…
Non credo di essere obbligata a dire anche la colpa. Non basta la dichiarazione che esiste, una colpa mia?
Basta…
E quando furono tutti e due insieme, davanti a quel banco di ridicola liberazione:
Dunque e ‘ deciso?
Si, rispose Anna, con fermezza.
Si, disse Ettore con una delle sue pose tragiche.
E chi si prende cura dei figli?
Anna ebbe un sussulto ed una fitta al cuore.
Ma non le ho detto che sono in collegio? Ma non ha veduto le ricevute pagate da me?
Non basta.
Come? Come non basta? Ma se egli non ha mai pensato a questi figli suoi? E’ qui presente, che mi smentisca…
Egli tacque.
Non basta; occorre la garanzia del padre.
Ma se questo padre non puo’ garantire, ma se son io che pago la retta?
Non basta…. occorre la garanzia del padre.
MA tutto cio’ e’ ridicolo….
E’ cosi’…
E sia… che posso fare io?
Il Presidente la guardo’…. poi lentamente scrisse la condanna sua, dei suoi figli, apri’ con poche parole un baratro di dolori senza fine. La separazione per colpa della madre, dunque la madre indegna di educare i figli, la cura dei figli al padre, un vizioso, uno scioperato, che mai aveva avuto il pensiero di loro, e dall’ava materna il piu’ piccolo…. momentaneamente.
Anna doveva essere pallida, mortalmente pallida, perche’, quando, rimasta sola, il Presidente le porse la penna perche’ firmasse, ebbe un moto, quasi come se temesse di vederla cadere.
Anna scrisse con una mano ferma:
Anna Mirello”
Nel 1896, il marito di nuovo querela la moglie separata per convivenza con Giorgio e la suocera per lenocinio.
Questa volta Anna si affida a un altro legale, Gino Sarri cosi’ rappresentato:
” Sul principio di una brillante carriera, Gino Sarri
aveva accettato di difenderla con l’entusiasmo della sua baldanza giovanile; aveva compreso, come nessuno lo aveva compreso mai, quale abisso di vergogne avevano preparato a quella donna lo scanno del tribunale, ed egli le aveva promesso di farla uscire di la’ con la grande soddisfazione di essere onestamente giudicata.
L’aveva veduta sincera, e piu’ di tutto seguendo i preparativi del processo, leggendo le lettere, frugando tra le carte e tra i ricordi, aveva veduto chiaramente l’anima di Ettore Streno.
Era un processo di passione, quello, non era un delitto freddamente calcolato, non era una causa aridamente complicata. Era un processo di amore; tutta la psicologia di due anime enormemente diverse. Bisognava ricostruire, bisognava rendere palpitante un racconto di fatti dolorosi.
E questo processo di amore, di passione, Gino Sarri lo aveva profondamente sentito. Non l’avvocato soltanto, ma un amico aveva Anna, in quel giovane, per quale gia’ si prevedeva una trionfante carriera.
Egli si era accorto forse di tutto quanto passava nell’anima di quella donna, a cui molto ingiustamente si era preparata quella umiliazione terribile… vide lo sguardo ironico e cattivo del marito, senti’ che un grande scoramento abbatteva quel coraggio da lui sostenuto.
E le parlo’ sorridendo.
Non so se rideranno tra qualche ora…
Forse con piu’ ragione, avvocato. Non ho piu’ coraggio. Mi lasci andar via.
Ma lei sogna?
No, sento tutto inutile. Mi fu detto un’altra volta che invano avrei lottato, dal momento che il fatto esiste. Non ho piu’ forza.
Bisogna trovarla, la forza, signora; se va via, sara’ condannata.
Saro’ ugualmente condannata.
Non e’ vero. Si difenda.
Mi difendera’ lei.
Solo? Senza che ella abbia prima parlato?
Non posso… non credo nella giustizia, non credo piu’ in nulla.
Lo faccia per Giorgio.
Egli si difendera’.
Per i suoi figli…
Non posso, avvocato.
Infine, bisogna rimanere. Occorre che ella faccia un quadretto artistico della sua vita.
Anna aveva sorriso dell’espressione.
E poi certe scosse ritemprano l’ingegno. Ella deve rimanere. Tanta forza di volonta’ l’aveva suggestionata.
Rimarro’”
In questo caso altro e ben altro e’ il processo perche’, grazie al coraggio che il legale le infonde, Anna riesce a parlare:
“ Coraggio, coraggio, per carita’ signora, le mormorava l’avvocato, e’ un momento di grave lotta… vuol perdersi adesso? Si alzi.
Tutte le formalita’, tutto l’apparato della legge le sfuggiva, non afferrava ne’ le parole del Pretore, ne cio’ che dicevano gli avvocati. Si accorse che veniva fatta sgomberare la sala, udi’ il mormorio di disapprovazione del pubblico; capi’ perfettamente che Ettore Streno parlava. E le parole di lui le udi’ tutte; come chiodi le entravano nel cervello, e le facevano tanto male che avrebbe volentieri gridato. Adesso le urgeva parlare… voleva dire, voleva dire…
Avvocato… quanto parla… non ode quanta infamia?
Sia calma.. E dica tutto… tutto…
E disse tutto. Comincio’ tremando, a stento, pronunziando le parole… con la voce tronca, che si spengeva. E il Pretore le fece coraggio, la esorto’ alla calma con molta cortesia. E il giovane avvocato le mormoro’:
Hanno capito… e’ causa per meta’ vinta… animo… animo…
E disse tutto. La voce le si faceva piu’ chiara, le parole piu’ pronte; senza frasi preparate, senza declamare, narro’ la sua vita di spasimi… E non nego’ la sua colpa, la confesso’ quasi ingenuamente, poiche’ le sarebbe stato impossibile negarla, poiche’ le parve d’un tratto che soltanto la verita’ poteva darle ragione.”
e la causa e’ vinta
” Poi dopo una breve assenza dei giudici, venne la sentenza.
Il magistrato, dichiarando irragionevole l’accusa, poiche’ il fatto era noto al marito da molto tempo, ebbe parole severe di rimprovero per quell’accusatore che aveva
con l’esempio dei suoi vizi e delle sue sregolatezze spinto la moglie a lasciarsi affascinare dalla colpa… E quelle parole furono per lei di gran conforto… ma era stanca e per un momento i grandi occhi cerchiati dallo spasimo si chiusero, credette di svenire.
Nel pubblico, rientrato per la sentenza, si udi’ un sospiro di soddisfazione, allorche’ la giovane donna passo’ accompagnata da Giorgio Minardi e dall’avvocato Gino Sarri.
Per molto tempo il caldo accento del suo difensore le rimase nell’anima come un gran bene.
Era la prima persona che la difendeva, cosi’, con tanta convinzione; era la prima persona che aveva gridato forte la sua ragione, ed una grande, viva riconoscenza le rimase, una riconoscenza che non sarebbe mai perita ne’ per lontananza ne’ per vicende.”
Stesse leggi, inique, ma diverso esito e, soprattutto, diverso senso di giustizia per la protagonista del romanzo, per l’autrice, per noi.
Condivido in pieno le parole di Elisabetta De Troja nella bella introduzione al romanzo
” Lei, come altre, come Sibilla Aleramo, come Ada Negri, e parlo di coloro che hanno fatto dell’autobiografia un’arma, ha scoperto che se i desideri o i dolori non trovano un linguaggio, se non vengono formalizzati con le parole, niente cambia. Si rimane fermi nell’insoddisfazione mentre e’ necessario ” camminare nei desideri”: il desiderio spesso non si e’ evoluto perche’ le tappe della vita non sono state soddisfatte. Se il desiderio non ha prodotto ribellione fattiva, rottura delle regole, affermazione di se’ allora si e’ fuori dalla storia, si e’ chiuse in un cerchio definito da altri. Bisogna conoscere il potere della parola, la sua capacita’ di fissare e di radicalizzare le emozioni, perche’ ribellandoci si puo’ entrare piu’ facilmente nella liberta’ della scrittura.
Camminare nei desideri e’ possibile solo per chi recupera la propria soggettivita’”
In un momento come questo, quando la legislazione offre meno diritti rispetto ad altri periodi (penso soprattutto al diritto del lavoro) il pensiero e la pratica delle donne genera giustizia quanto mette la cura al centro delle relazioni e cosi’ produce qualita’ nei rapporti.
Penso ai beni comuni, oggetto costante della ” cura” al tempo in cui mi occupavo di difesa civica, l’aria, l’acqua, la terra ,la citta’,chi la abita, ma anche il lavoro, gli affetti, le relazioni.
La teologa tedesca Ina Praetorius (Penelope a Davos Quaderni di Via Dogana 2011)si pone l’interrogativo di cosa avviene se provo a considerare il mondo intero, anziche’ un mercato, un ambiente domestico, un luogo cioe’ dove si fanno cose che contribuiscono visibilmente e direttamente a far star bene le persone, a cominciare da se stesse e propone di pensare il mondo a partire dalle esperienze reali di chi lo abita, un ambiente domestico come ambito in cui si vive e si lavora, dove la dipendenza le\gli une\i dalle\gli altre\i non e’ debolezza ma normalita’ perche’ tutti noi esseri umani siamo per alcune fasi attivi o stanchi, capaci di lavorare o disabili, pieni di energia o depressi.
In questa prospettiva , ” un agire volto al nutrimento dell’umana convivenza” e’ stata per me la Difesa Civica, quando non ci si limitava alla relazione tra cittadinanza e ente locale, alla tecnica o alla corretta gestione, ma si chiedeva da parte di tutti presa di conoscenza , di parola, di responsabilita’.
Nell’ambito professionale, anche di fronte a violazioni di diritti e lesioni di beni fondamentali, secondo me e’ cura scegliere di far leva sulle risorse dei soggetti coinvolti, mai relegati nei ruoli di vittima e nelle relazioni interpersonali sottrarsi alla misura del potere e del denaro fine a se stesso, per riconoscere la priorita’ del benessere comune.
Mi piace pensare e accorgermi con sguardo aperto e senza pregiudizi che, anche in periodi difficili e pesanti come quello che attraversiamo, siamo in tante a coltivare questo desiderio, questo pensiero e questa pratica, a farla vivere e dare frutti, in tante e diverse forme, luoghi e modi.
Ma un altro spunto importante riprendo da Elisabetta De Troja
” L’obbiettività’, la neutralita’ del Codice, di cui il Codice si compiace, viene contestata: questo romanzo, di grande impatto psicologico, illumina una legge, ce la fa capire e penetrare ma anche rifiutare cosi’ come e’ stata concepita perche’ la letteratura, ma anche la legge, non vivono in un asettico isolamento ma in una molteplicita’ di incontri e di esperienze. Anna Mirello diventa una piccola Antigone che lotta contro un potere tanto piu’ grande di lei perche’ i doveri del sentimento e della sincerita’ sono piu’ forti di quelli imposti dall’autorita’ giuridica e se la grande disobbedienza dell’eroina greca conduce alla morte perche’ e’ cosi’ che vuole il tiranno, il no di questa donnina coperta di debiti e di ingiurie ha una sua tragica potenza, la luminosa capacita’ di sollevarla lontano dall’afrore polveroso di un’aula di tribunale.
L’ Antigone di Sofocle soffre l’angoscioso dilemma tra la legge dello Stato e quella degli Dei. E’ quest’ ultima che da’ alla fanciulla di Tebe la forza di sfidare il re. E’ con la scelta di Antigone che si rompe la ” bella vita etica” della fenomenologia di Hegel.
Antigone ed Anna: due donne che si ribellano alla legge dello Stato.
Ma, a differenza dell’eroina greca, Anna non ha il sostegno della religione e dei suoi apparati. E’ laicamente sola a lottare contro gli dei e contro il re; a lei e’ affidato il titanico tentativo di conciliare legge e morale nella superiore sintesi della liberta’ della donna”
E anch’io chiudo con l’Antigone che Maria Zambrano rivisita dalla tragedia di Sofocle, con le parole di Wanda Tommasi: ” Secondo Zambrano, Antigone non si sarebbe suicidata nella tomba, ma avrebbe avuto a disposizione proprio lì – nella caverna, nell’’utero materno -, un altro tempo, necessario per dipanare i nodi aggrovigliati della sua stirpe e per estrarre un senso dalle terribili vicende che aveva vissuto. Quando Antigone è rinchiusa nella tomba, tutto è già accaduto. Antigone, figlia di Edipo e di Giocasta, di un matrimonio incestuoso fra madre e figlio, ha visto i suoi due fratelli, Eteocle e Polinice, morire l’’uno per mano dell’’altro in una guerra fratricida. Eteocle, assolutista, era schierato dalla parte del tiranno Creonte, mentre Polinice, utopista e rivoluzionario, aveva combattuto contro Creonte. Per questo il tiranno Creonte aveva decretato che a quest’’ultimo fossero negati gli onori della sepoltura. Antigone, trasgredendo il divieto di Creonte, aveva seppellito il cadavere di Polinice e,, ne aveva lavato pietosamente il sangue raggrumato. Per questo, Creonte l’’aveva condannata a essere rinchiusa in una caverna al di fuori della città di Tebe: qui, secondo Sofocle ma non secondo Zambrano, Antigone si sarebbe suicidata. La trasgressione dell’’editto di Creonte e la condanna di quest’’ultimo del gesto di Antigone avevano comportato anche il fallimento delle nozze dell’’eroina greca con Emone, figlio di Creonte, a cui Antigone era stata promessa in sposa. Queste sono le vicende a partire dalle quali si dipana La tomba di Antigone di Maria Zambrano. In Zambrano, Antigone è l’emblema di una sapienza femminile che, maturata nella sofferenza per l’eredità di vincoli familiari pesantissimi e insolubili, tuttavia ha la capacità nella tomba di dipanare i fili aggrovigliati della propria nascita fino a portarli alla luce della coscienza e a trasmetterne il senso a coloro che le stanno intorno, in primo luogo i suoi familiari.
E’ chiaramente leggibile anche, nella presa di distanza di Antigone-Zambrano dalla lotta fratricida e dal conflitto maschile per il potere, il segno della propria differenza femminile, ispirata da un’’altra logica, guidata dall’amore e dalla pietà. Anche se Antigone promette, alla fine del colloquio con Polinice, che andrà a raggiungerlo “”in quella città che tu dici, fratello””, tuttavia non si tratta della stessa città. Quella di Polinice è la città dell’utopia rivoluzionaria, quella di Antigone-Zambrano è una “patria eterna che, in quanto è più perfetta di qualunque utopia, trascende la storia”. Si tratta di una terra promessa oltre la storia, la quale però al tempo stesso non nega la vita di questo mondo, ma promette anzi che ogni momento di questa esistenza terrena sia salvato e redento, riscattato nella luce.”
Con responsabilita’, cura, concretezza e gestione creativa del conflitto possiamo sentirci contente di essere artefici di giustizia, nella genealogia di Anna Franchi e delle donne che ci hanno preceduto e con apertura di strade a quante ci seguiranno.